03 Febbraio 2025
LA SFIDA DELLA TECNOLOGIA
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Intervista al Gen. Sq. Aerea Luca Goretti, Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare

L’Aeronautica Militare è da sempre da stimolo per lo sviluppo dell’innovazione tecnologica del settore aerospaziale. Come viene sviluppata la collaborazione con l’industria nazionale, le PMI, i distretti e i centri di ricerca, per garantire il mantenimento di un vantaggio strategico nazionale?
Mai come ora il connubio tra la Forza Armata e le industrie è forte, consolidato, stabile e concreto. In passato, queste due realtà potevano sembrare contrapposte: da un lato chi vendeva ciò che aveva, dall’altro chi acquistava ciò che gli veniva offerto. Oggi, invece, il paradigma è completamente cambiato. Il dialogo parte da un approccio collaborativo: io ti dico ciò di cui ho bisogno e insieme lavoriamo per crearlo.
Questa sinergia si basa su una costante condivisione di ricerca, sviluppo e informazioni operative e tecniche tra la componente militare e quella industriale, coinvolgendo sia grandi aziende sia piccole imprese. Abbiamo constatato che questo approccio funziona, perché, fin dalle fasi embrionali dello sviluppo di una capacità operativa, le industrie e le università sono parte integrante del processo.
Un tempo, erano i militari a trasferire tecnologia al mondo civile. Oggi, invece, la dinamica è opposta. Ci affidiamo in modo significativo alle università, ai centri di ricerca industriali e alle startup. All’esterno, infatti, esiste un enorme bacino di giovani ricercatori che possono fare la differenza grazie alla loro competenza.
L’Aeronautica Militare è una forza armata altamente tecnologica, ma proprio per questo la tecnologia rappresenta una sfida. La rapidità con cui evolve impone anche a noi di mantenere lo stesso ritmo. In passato, lo sviluppo di un sistema d’arma richiedeva vent’anni, dall’idea alla messa in linea operativa. Oggi, questo ciclo si è ridotto a dieci anni, ma i costi sono aumentati esponenzialmente.
Questa osmosi con le industrie, i centri di ricerca e le università non è solo un’opportunità, ma una necessità. Ne siamo pienamente consapevoli e la favoriamo attivamente. Ritengo che tali sinergie rappresentino una svolta cruciale per lo sviluppo dell’industria e per garantire che il nostro Paese continui a essere competitivo in un settore strategico.

C’è un ambito tecnologico più rilevante in questo momento?
In questo momento la tecnologia ha un obiettivo centrale: l’informazione. Chi possiede i dati ha il controllo dell’informazione e disporne in tempo reale rappresenta un elemento strategico cruciale. Oggi, nessun sistema d’arma sarebbe in grado di completare una missione senza il supporto di dati provenienti da satelliti o altre fonti informative. Per questo motivo, avere accesso a dati aggiornati in tempo reale è essenziale per permettere alla Forza Armata di svolgere al meglio il proprio lavoro.
L’elemento chiave, quindi, è la padronanza del dato. La capacità di raccoglierlo, gestirlo e disseminarlo in modo efficace è diventata la vera chiave di volta. Un tempo, i dati venivano trasmessi in modo lineare, passando da una capacità all’altra, come avveniva per i termosifoni: prima disposti in serie, poi in parallelo. Oggi, invece, adottiamo un approccio completamente diverso, definito “a mosaico”.
Questa filosofia a mosaico implica che, se una cella informativa viene meno, ci siano percorsi alternativi per ottenere lo stesso dato. La perdita di una cella, quindi, ha un impatto limitato e non compromette l’operatività complessiva. Questo modello ha rivoluzionato la nostra filosofia operativa e l’acquisizione di capacità negli ultimi dieci anni.
Ecco perché abbiamo investito in piattaforme come gli F-35, gli Eurofighter e strumenti avanzati sui satelliti. La ridondanza e la resilienza del dato sono oggi fondamentali per garantire che le informazioni critiche siano sempre disponibili e operative, indipendentemente dalle circostanze.

Come immagina la Forza Armata nell’immediato futuro?
Una forza armata completamente tecnologica, in cui l’elemento chiave rimane l’uomo. Sono fermamente convinto che l’ultimo switch, il comando finale per dire “vai”, debba restare in mano all’uomo. Oggi utilizziamo l’intelligenza artificiale in modo sempre più esteso, poiché accelera i processi e ci semplifica molte operazioni. Stiamo entrando in questo mondo in maniera pervasiva, applicandolo in vari ambiti, inclusi quelli operativi. Tuttavia, anche se l’AI ci agevola e ottimizza i processi, è sempre l’uomo a prendere la decisione finale, che si tratti di agire o meno in una determinata situazione.
Ad oggi, l’intelligenza artificiale si basa su dati derivanti dalla memoria e dall’intelligenza umana. Ma ci sono elementi come la fantasia, l’intuizione e la curiosità – qualità distintive del cervello umano – che ancora non sono stati trasferiti all’AI. Forse un giorno sarà possibile farlo, ma queste caratteristiche rappresentano la chiave della nostra esistenza e sono proprio quelle che hanno portato allo sviluppo dell’intelligenza artificiale stessa.
Tuttavia, trasferire queste capacità a un robot potrebbe mettere a rischio la nostra stessa esistenza, rendendo il sistema incontrollabile. Questo è qualcosa che non deve accadere. La nostra Aeronautica Militare deve continuare a rimanere rilevante dal punto di vista tecnologico, ma al contempo deve pensare a un piano di backup, per ottenere risultati anche senza totale dipendenza dalle informazioni tecnologiche.
Un esempio chiaro è dato dai giovani di oggi: se togliessimo loro il cellulare o la calcolatrice, molti non sarebbero in grado di fare calcoli a mente. In passato, si imparava prima a fare i conti a mente e poi si riceveva la calcolatrice. Questo principio è fondamentale e lo vediamo anche nella guerra in Ucraina.
Il conflitto in Ucraina ha dimostrato come la tecnologia possa trasformare la guerra, uno scenario in cui, grazie alla deterrenza tecnologica che le forze ucraine sono riuscite a mettere in campo, il conflitto si è spostato molto di più sul terreno.
Alla fine, ciò che conta è ancora la conquista del territorio. Tutto ciò che costruiamo nello spazio, tutto ciò che sviluppiamo come strumenti e tecnologie serve come deterrente, ma resta finalizzato a un obiettivo terrestre: conquistare e difendere un pezzo di terra. Qualcuno, alla fine, deve mettere una bandiera.
Un giorno, forse, quando la Luna sarà popolata, si penserà che essa sia più importante della Terra e allora i conflitti potrebbero spostarsi nello spazio. Non è fantasia, ma logica. Per ora, possiamo essere tranquilli, ma non possiamo permetterci di ignorare questa possibilità. Dobbiamo garantire una forza armata capace di essere rilevante nel settore spaziale, fornendo una deterrenza efficace a chi potrebbe danneggiarci, privandoci dell’accesso alle risorse spaziali.
Il nostro compito, che non è mai cambiato, rimane la difesa e la sicurezza del territorio e delle coalizioni di cui facciamo parte. Questo è il nostro mandato ed è fondamentale non perdere di vista questo obiettivo. Come raggiungerlo dipende dalle opportunità che la tecnologia ci offre, e il nostro impegno deve essere quello di restare sempre al passo con i tempi.
Questo è lo sforzo mentale che chiedo ai giovani di oggi, ai nostri ufficiali, colonnelli e tenenti colonnelli: immaginate cosa serve e cosa servirà per garantire la difesa del territorio e della coalizione. Questo deve essere il nostro punto di riferimento e il nostro obiettivo costante.

L’Aeronautica Militare è impegnata in tutti i principali scenari internazionali di interesse per l’Italia. Qual è l’importanza di questa proiezione? E come la Forza Armata collabora con i partner internazionali per rafforzare la capacità operativa del nostro Paese?
L’Italia ha assunto un ruolo sempre più rilevante nell’immaginario collettivo internazionale. Questo non solo grazie ai progressi nel settore della difesa, ma anche perché lo Stato italiano ha compiuto un vero salto di qualità. Già con il Governo Draghi e ora con l’attuale governo si è registrata una determinazione maggiore in alcune scelte chiave. Desidero ringraziare le autorità politiche che ci hanno guidato e che continuano a farlo, perché garantiscono tutela e sicurezza alle nostre decisioni.
Tuttavia, resta fondamentale per noi tecnici essere pronti e preparati, qualora venissero richiesti interventi specifici. Come responsabile dell’approntamento dello strumento aeronautico nei confronti del Capo di Stato Maggiore della Difesa e del Ministro, considero prioritario essere sempre preparato per qualsiasi scenario o necessità.
Per questo motivo, abbiamo ampliato i nostri orizzonti, dimostrando di poter operare efficacemente anche molto lontano dai confini nazionali. Abbiamo organizzato esercitazioni in Alaska, Australia e Giappone, collaborando con colleghi con cui ci interfacciamo regolarmente. Il risultato è stato straordinario: lo scorso anno siamo stati in grado di mantenere contemporaneamente velivoli operativi negli Stati Uniti, garantire la difesa del territorio nazionale, partecipare all’air policing per il conflitto ucraino nell’ambito della NATO, e inviare venti aeroplani in Australia e Giappone.
Questo successo dimostra che il nostro sistema logistico è in grado di sostenere queste capacità di proiezione, ma richiede una pianificazione minuziosa e una consapevolezza profonda da parte del personale. Quando un comandante dice “siamo pronti”, deve esserci la piena convinzione di poterlo dimostrare, perché alla fine non si tratta più di un ordine, ma di una consapevolezza collettiva delle proprie capacità.
Operazioni di questa portata non sono semplici: richiedono l’analisi di ogni possibile variabile. Per esempio, se devi atterrare in un aeroporto commerciale, un tifone ti rallenta e l’operatore commerciale a terra dà la precedenza a un altro aereo, è sempre necessario avere un piano di backup. Preparare la nostra forza aerea a operare lontano dal “nostro orticello” è essenziale per evitare di trovarci impreparati nel momento in cui dovessimo affrontare un intervento serio.
Queste esercitazioni ci hanno anche insegnato ad affrontare le diversità linguistiche. La comunicazione tra persone che parlano lingue native molto diverse, come il giapponese e l’italiano, utilizzando l’inglese come lingua comune, può diventare complessa, specialmente in situazioni di stress. Se non ci si abitua a gestire queste dinamiche durante le esercitazioni, si rischia di trovarsi in difficoltà quando sarà necessario. Superare questi ostacoli richiede pratica costante e consapevolezza.
Andare in un luogo può essere relativamente semplice; il valore vero sta nell’apprendere le lezioni e trarne insegnamenti per il futuro. Questo è ciò che abbiamo imparato lo scorso anno, ed è per questo che quest’anno affrontiamo queste attività con maggiore tranquillità. Nel 2026 rifaremo esercitazioni simili, ma con un approccio più strutturale. Attraverso la sistematicità delle operazioni di proiezione a lunga distanza, tutto ciò diventerà routine.
In questo processo, la componente logistica si adegua progressivamente, consentendo al personale di qualsiasi ordine e grado di cambiare mentalità e adattarsi ai nuovi scenari. Questo è l’obiettivo primario: far evolvere gradualmente il modo di pensare, senza imporre cambiamenti forzati. Un’imposizione rigida può avere effetti negativi, soprattutto con un eventuale cambio di leadership. E questo è un rischio che non possiamo permetterci.

Roberta Busatto